LA MITICA FERRANIA DEGLI ANNI 60

Ecco la mitica Ferrania, la macchinetta fotografica che veniva donata ai convittori (non so se anche alle convittrici) per la Befana ENPAS negli anni 60. L’ho comprata oggi su una bancarella al mercatino dell’antiquariato di Pissignano, vicino Spoleto, a € 20. Il bancarellare mi diceva che veniva do nata dalla FIAT a chi acquistava un automezzo e che si poteva anche vincere con i “punti VDB”, cioè Van Der Bergh, associati ai prodotti MILKANA (formaggini, formaggi e affini). Viene a questo punto da pensare che forse l’ENPAS poté rivolgersi proprio alla FIAT per aver un certo numero di queste apparecchi fotografici e che la casa automobilistica potè donarle filantropicamente… che ne di pensi Francesco? Fra l’altro, la ditta Ferrania ha una sua storia, che aprendiamo da un articolo sull’inserto culturale Alias del Manifesto, del 7 gennaio 2023: “Raffaele K. Salinari

Molti ricorderanno la scena di Una finestre sul cortile, il giallo di Alfred Hitchcock, in cui Raymond Burr cerca di assassinare James Stewart e questi si difende accecando l’assalitore con i flash della sua macchina fotografica. Cambiando il più rapidamente possibile le piccole lampadine, Stewart, immobilizzato sulla sedia a rotelle dalla gamba ingessata, «spara» negli occhi di Burr lampi di luce che, per alcuni momenti, gli fanno perdere la vista.
Altri ancora saranno forse più affezionati alla prima scena di Giù la testa, di Sergio Leone in cui un impassibile James Coburn fa esplodere una carica di fulmicotone nella carrozza della famiglia allargata di Rod Steiger dando l’avvio alla pellicola con la famosa battuta: «Giù la testa, coglione!». Ultimo riferimento, tra i tanti, Vite vendute con Yves Montand ed il suo trasporto di nitroglicerina. Ebbene, possiamo dire che queste scene epitomizzano, in diversi modi, la storia della più famosa fabbrica di pellicola cinematografica italiana.

Polvere per i zaristi
Questa vicenda parte da lontano ed arriva ad un luogo e a un marchio che tutti conosciamo perché il suo nome è legato, almeno nei meno giovani, alle foto che trattenevano i ricordi di una vita: quello delle pellicole Ferrania.
Siamo nel 1870 e la Repubblica Francese, dopo la sconfitta di Sédan e la costituzione dell’Impero Germanico, persegue il suo scopo di rivincita sui tedeschi anche stringendo alleanza con l’Impero Zarista, superando tutte le differenze ideologiche tra la propria costituzione democratica e quella assolutistica delle Russie.

In questo quadro una particolare, quanto interessata, attenzione venne posta dai francesi all’armamento dell’esercito russo, già da allora imperniato sull’uso massiccio dell’artiglieria pesante, segnatamente composta dai cannoni da campagna. I transalpini, in specifico, consigliarono allo Zar di adottare il loro cannone Déport da 75 mm, adatto anche alle ondulate pianure russe. Questo era un apparato bellico relativamente maneggevole quanto potente, che poteva essere trasportato anche dai cavalli e richiedeva come carica di lancio l’uso di un esplosivo a deflagrazione progressiva, costituito da una miscela di nitrocellulosa a diverso tenore di nitrazione, chiamato «polvere B». Naturalmente, oltre alla vendita dei cannoni, i francesi fecero altrettanto per la «polvere B».

Anche se non si è chimici, ma ci si è divertiti a far esplodere qualche mortaretto in occasione del Capodanno, pratica ora formalmente proibita come tante altre di ascendenza apotropaica in nome della sicurezza ma, in realtà, per far intristire ancor più l’avvio del Nuovo Anno, un pizzico di scienza degli esplosivi fa sempre bene. Non parliamo qui della classica Moltov, primitiva ma efficace, bensì appunto del fulmicotone, tanto caro ai dinamitardi di tutto il mondo. Orbene esso è composto appunto di cellulosa, che si trova nel cotone, acido nitrico ed ossido di azoto. In particolare è affascinante la storia dell’azoto, gas presente nell’aria in grande quantità, ma che fu isolato ed utilizzato come fertilizzante, e gas esplosivo, solo in tempi recenti.

A questo punto, prima di tracciare una breve, quanto tremenda, storia di questo gas, portiamo l’attenzione del lettore su un testo di alchimia del XVII secolo, il famoso Azoth di Basilio Valentino che descrive, richiamando il nome «azoto», questa misteriosa sostanza come il Solvente Universale usato dagli alchimisti per la ricerca della loro Pietra Filosofale. Data l’alta valenza simbolica dei nomi usati nelle scienze iniziatiche, ci si deve domandare se quello che stiamo per narrare non sia un monito che giustifica ciò che viene, giustamente, chiamato «segreto iniziatico» e che impedirebbe ai profani, cioè a coloro che non hanno l’animo volto al «bene ed al progresso dell’umanità», l’utilizzo di tali potenze; un po’ come ci dice Disney nell’Apprendista stregone.

Dal Blu di Prussia allo Zyclon
Questa parte della storia parte da Johann Jacob Diesbach lo scopritore del blu di Prussia come pigmento artificiale. Prima di lui il blu dei dipinti veniva estratto dalla macinazione dei lapislazzuli, cioè «pietre del cielo», conosciute fin dall’antichità. Nel 1782, Carl Wilhelm Scheele, uno scienziato importante per la storia degli elementi chimici, mescola del blu di Prussia con un agitatore sul quale vi erano residui di acido solforico. Nasce così, forse per caso, uno dei veleni più letali: il cianuro, da lui chiamato, per questa origine, acido prussico. Costituito da azoto, carbonio e potassio, il cianuro ha il potere di interrompere repentinamente la respirazione, rilasciando il tipico aroma di mandorle amare.

La storia del cianuro, come ci ricorda Benjamin Labatut nel suo libro Quando abbiamo smesso di capire il mondo, si incrocia ad un certo punto con la scoperta dell’azoto da parte di Fritz Haber, colui che, a detta dei giornalisti dell’epoca, «fece il pane dall’aria». Nel 1907 Haber aveva, infatti, trovato il modo di ottenere l’azoto dall’aria. Come sappiamo questo è un elemento fondamentale per la crescita delle piante. Prima della scoperta di Haber la domanda di azoto come fertilizzante veniva evasa riesumando, ad esempio, milioni di scheletri, dato che lo si poteva ricavare dalle ossa dei morti. Dai soldati e cavalli deceduti nelle battaglie, ai crani dei bisonti americani e fino agli schiavi delle tombe dei faraoni egizi, le ossa di milioni di scheletri finirono triturate come fertilizzante nei campi agricoli.
E dunque la scoperta di Haber cambiò la storia dell’agricoltura e, di conseguenza, dell’umanità. Tuttavia, come nella storia della Ferrania, le sue ricerche si svolgevano originariamente in ambito militare: doveva fabbricare esplosivi e polvere da sparo. Con lo stesso procedimento utilizzato per ottenere azoto dall’aria Haber costruì, infatti, la prima arma di sterminio di massa, un gas terribile utilizzato per la prima volta nel 1915 ad Ypres, la tristemente famosa Iprite.

Questo gas, combinato con il cianuro, produsse un pesticida terrificante: lo Zyklon, il ciclone. La sua prima versione, lo Zyclon A, fu utilizzata sugli aranceti californiani e sui treni statunitensi, la susseguente, lo Zyclon B, per sterminare milioni di persone nelle camere a gas. Del suo colore, blu ovviamente, se ne vedono ancora tracce su quei muri.

La S.I.P.E.
Torniamo ora alla nostra storia. Il commercio di fulmicotone e cannoni procedette senza intoppi sino alla Grande Guerra ma, già nel 1914, i francesi dovettero interrompere le forniture di detonatore per via delle loro esigenze belliche. Ecco che, allora, non essendo i russi attrezzati per produrre la polvere B, si rivolgono in Italia alla S.I.P.E. la Società Italiana Prodotti Esplodenti che accettò la commessa e decise di costruire ex novo uno stabilimento per la sua produzione: la sede scelta fu nei pressi del paese di Ferrania per via di un’ampia area allora disabitata e della vicina ferrovia della linea Savona-San Giuseppe di Cairo che poi proseguiva per Cengio e Torino da una parte e Alessandria e Milano dall’altra. Per questo fu immediatamente tracciato un vialone tra l’area destinata alla fabbrica e la strada ferrata: sorse così la Stazione di Ferrania.

I francesi avevano intanto consegnato ai tecnici della S.I.P.E. i protocolli per la fabbricazione della polvere B, che comincia subito ad entrare in produzione ed inviata in Russia via mare attraverso il porto di Arcangelo. Tutto cessa nel 1917 per via della Rivoluzione di Ottobre e la pace separata con gli Imperi Centrali.

Nasce la F.I.L.M.
A questo punto, conclusa anche la Prima Guerra Mondiale, si impone agli stabilimenti di Ferrania una decisa necessità di riconversione industriale. Ora, gli impianti per la fabbricazione della polvere B erano in realtà anche adatti alla produzione di pellicole fotografiche, cinematografiche e per Raggi X. Infatti, gli impianti per la produzione di etere solforico, le impastatrici e le centrifughe per la produzione della nitrocellulosa, si prestavano a questo fine attraverso una ingegnosa opera di adattamento. Come si vede da questa breve storia, il tema della riconversione degli impianti bellici a fini civili, ma anche il contrario, è sempre di attualità.

E dunque nasce la F.I.L.M., Fabbrica Italiana Lamine Milano, con sede legale nel capoluogo lombardo ma stabilimenti a Ferrania, che comincia a prendere il nome di Ferrania F (Film). La prima stesura di pellicola avviene verso il 1920 e, all’Esposizione di Torino del 1923, la Ferrania Film presenta la sua prima pellicola cinematografica positiva. Nel 1926 nesce la pellicola radiografica medica e nel 1927 il negativo cinema ed infine la famosa e popolare pellicola fotografica in rullini.

Ora, all’inizio abbiamo parlato delle lampadine flash delle vecchie macchie fotografiche, quelle che si usavano sino agli anni ’60 del secolo scorso. Ebbene il filamento di questi bulbi, «sparava» il suo lampo luminoso perché intriso di nitrocellulosa, la stessa usata per la produzione delle pellicole cinematografiche.

Fascismo e dopoguerra
Gli anni della dittatura fascista, con l’autarchia ed il controllo politico delle produzioni industriali, furono durissime per la Ferrania. In particolare venivano a mancare componenti importanti, come il nitrato d’argento, infine ricavato con una campagna di recupero sul modello di quella Oro per la Patria.
Poi lo scoppio della guerra mise in gande difficoltà la Ferrania che, nonostante ciò, nel 1941 mette in produzione una pellicola invertibile per fotografia a colori con sensibilità di 13/10° DIN. Nel 1943, dopo l’armistizio, la Ferrania viene gestita dai nazisti che la denominano Stabilimento Ausiliario Germanico, ma i partigiani riescono a boicottare la produzione, tutta destinata a Cinecittà, senza distruggere la fabbrica che nel ‘45 torna libera.

Ed eccoci finalmente al debutto internazionale delle sue pellicole cinematografiche. Già alla fine degli anni ’40 la Ferrania realizza il primo negativo a colori per il cinema. Con questo nuovo prodotto viene realizzato prima il documentario a colori Ceramiche Umbre, presentato in occasione del rinato Festival di Venezia nel ’49 ed infine, nel ’52 il celeberrimo Totò a colori di Steno, seguito da Africa sotto i mari con una esordiente Sofia Loren. E fu proprio la Loren con il suo Oscar per La ciociara a sancire il livello internazionale della Ferrania che utilizzò il premio come fonte pubblicitaria a livello mondiale.
Il resto della storia ed anche l’inizio che si perde nel Medio evo, lo possiamo trovare nel bellissimo Museo della pellicola presso il Palazzo Scarampi di Cairo Montenotte (www.ferraniafilmmuseum.net) che appassionati curatori aprono al grande pubblico per tenere viva la memoria sia di quanti hanno lavorato nella Ferrania, sia per mostrare quella geniale capacità italica di trarre il meraviglioso dalla distruzione.

[Roberto Quirino]

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